Nuovi tentativi di abbordaggio registrati nel Golfo di Aden. Si sospetta anche che i miliziani sciiti finanzino bande di pirati dalla Somalia per attaccare.
Terrorismo, l’attacco dello Stato Islamico al carcere di Gwayran “fa scuola”

I paesi che ospitano prigioni in cui sono rinchiusi elementi ex-ISIS rivedono la sicurezza delle strutture, dopo l’attacco dello Stato Islamico al carcere Al Sina’a di Gwayran (Gweran)
L’attacco dello Stato Islamico al carcere Al Sina’a di Gwayran (Gweran) in Siria (Hasaka) è stato un campanello d’allarme per tutte le nazioni, specialmente mediorientali ma non solo, che ospitano prigioni in cui sono rinchiusi jihadisti ex-ISIS. Molti paesi, infatti, hanno avviato ispezioni approfondite per scoprire e colmare eventuali falle nella sicurezza prima che sia troppo tardi. In particolare, l’Iraq si è concentrato su sette centri di detenzione:
Taji Central Prison;
Karkh Central Prison (Gruber);
Justice Prison / Kadhimiya;
Nasiriyah Central Prison (Al-Hout);
Basra Central Prison;
Babylon Central Correctional Prison (Kifl);
Al-Faisaliah Prison (Nineveh).
Il timore generale è che IS stia pianificando nuove offensive come quella conclusasi da poco e con fatica, solo grazie all’intervento di Inherent Resolve che ha fornito supporto strategico alle SDF per stanare i terroristi asserragliati nel complesso.
L’Est della Siria, nonostante la vittoria delle SDF a Gweran, non è però al sicuro
Peraltro, non è detto che lo Stato Islamico non ci riprovi. Non a caso, gli USA hanno appena trasferito dal Kurdistan iracheno numerosi assetti nell’Est della Siria. Lo scopo è duplice: da una parte prevenire nuovi assalti dei jihadisti ex-ISIS alle carceri curde. Dall’altra, contenere eventuali fughe di terroristi se la Turchia o le milizie alleate dovessero bombardare le prigioni nella regione durante l’offensiva in corso a nord di Hasaka. D’altronde, episodi simili sono già avvenuti. In particolare, a ottobre 2019 ad Ain Issa, quando alcuni raid delle TAF permisero a oltre 785 miliziani di fuggire. Ankara, infatti, ha usato proprio questa strategia contro le SDF gli anni precedenti: colpire i centri detentivi per obbligare le forze curde a intervenire, distraendole dalla prima linea e quindi indebolendo le loro difese. Non si esclude perciò che quanto accaduto possa ripetersi. Soprattutto oggi dove la guerra nell’area è in situazione di stallo.