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Ucraina, l’invasione della Russia mette in pericolo anche l’ambiente

L’invasione russa in Ucraina non ha causato solo una tragedia umanitaria, ma anche ambientale. I giuristi Mastrovito e Stracquadaneo tracciano un quadro di come il diritto internazionale regoli i conflitti armati sul tema e sui crimini connessi

L’invasione russa in Ucraina non ha causato solo una tragedia dal punto di vista umanitario, ma anche ambientale. Le armi utilizzate dalle truppe di Kiev e di Mosca producono, infatti, una grande quantità di emissioni tossico-nocive. Inoltre, il rischio di danni alle numerose centrali nucleari presenti nel paese europeo è sempre dietro l’angolo. L’avvocato Francesco Paolo Mastrovito e il professore Carlo Stracquadaneo, esperto di diritto delle forze armate italiane, hanno tracciato un quadro di come il diritto internazionale regoli i conflitti armati su questo tema per capire chi, come e perché stia mettendo in pericolo la salvaguardia ambientale e gli obiettivi climatici.

Il Primo protocollo addizionale del 1977 alla Convenzione di Ginevra e la salvaguardia ambientale nei conflitti armati

L’Articolo 35 del Primo protocollo addizionale del 1977 alla Convenzione di Ginevra, prescrive le regole fondamentali, spiegano i due giuristi:

  • In ogni conflitto armato, il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato;
  • E’ vietato l’impiego di armi, proiettili e sostanze nonché metodi di guerra capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili;
  • E’ vietato l’impiego di metodi o mezzi di guerra concepiti con lo scopo di provocare, o dai quali ci si può attendere che provochino, danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale.

L’art. 55 del Protocollo, introduce disposizioni destinate a salvaguardare l’ambiente naturale da danni estesi, durevoli e gravi come quelli causati dall’uso di napalm e defolianti, sostanze distruttive. Comprese quelle vietate ulteriormente dal III Protocollo del 1981 sulle armi che producono sofferenze inutili e dalla Convenzione sulla modificazione dell’ambiente naturale “Enmod” (Enviroment modification), relativa al divieto di utilizzare tecniche di modifica dell’ambiente naturale per scopi militari o per qualsiasi scopo ostile. Infine, l’articolo 56 del Primo protocollo, indica le norme di protezione per le opere e installazioni che racchiudono forze pericolose (come dighe idriche e centrali nucleari) a causa dei danni che possono derivare per l’incolumità della popolazione civile.

Il XXIV Principio della Dichiarazione di Rio

Il Primo Protocollo del 1977 contiene una prima risposta alla smisurata escalation dei conflitti armati, sottolineano Mastrovito e Stracquadaneo, che mettono a rischio l’ambiente. Si basa su quanto avvenne in Vietnam a seguito dell’impiego massiccio di “Agente Orange” per impedire l’occultamento di obiettivi militari all’interno delle fitte boscaglie tropicali. L’obbligo di proteggere l’ambiente naturale in tempo di conflitto armato è stato poi ribadito dal XXIV Principio della Dichiarazione di Rio del 1992 sull’ambiente e lo sviluppo. Tale obbligo, peraltro, si desume anche “a priori” dal parere sulla liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari, in cui nel 1966 la Corte Internazionale di giustizia ha dichiarato l’esistenza di un obbligo internazionale di proteggere l’ambiente naturale contro danni estesi, durevoli e gravi (ICJ, Reports, par. 31). Tuttavia, nelle minacce della guerra moderna rimane sempre da risolvere un pesante interrogativo: come si può salvaguardare l’incolumità della popolazione civile senza la tutela ambientale?

La Corte Penale Internazionale annovera fra i crimini di guerra anche il “causare danni diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale”

Oggi lo Statuto della Corte Penale Internazionale annovera fra i crimini di guerra anche il “causare danni diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale” (art. 8) e tra tali crimini include anche i danni collaterali all’ambiente se questi sono estesi, durevoli e gravi. Lo ricordano i due esperti di diritto. Con tale disposizione, lo Statuto ha inteso rafforzare la tutela dell’ambiente naturale per proteggere dagli effetti della guerra i civili che non prendono parte alle ostilità. Quindi, lanciare un attacco con la consapevolezza che possa causare danni gravi, estesi e duraturi sull’ambiente naturale, costituisce un crimine di guerra. Ciò ancorché sulla materia esista ancora un vuoto nel Diritto Internazionale. Nonostante i significativi passi in avanti verso una definizione delle responsabilità e degli obblighi degli attori statali e non statali nei conflitti armati, la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite non è ancora riuscita ad arrivare alla stesura di una regolamentazione dei danni provocati all’ambiente durante i conflitti internazionali.

La Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e la giurisprudenza ambientale

Allo stesso tempo, però, anche la Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) rappresenta uno strumento giuridico di riferimento per la protezione di numerose violazioni subite da civili durante i conflitti armati, concludono Mastrovito e Stracquadaneo. Specie in relazione al diritto alla vita (art. 2), ma anche nell’ambito della giurisprudenza ambientale. Tra i vari esempi che possiamo dare in questo campo, infatti, c’è il famoso caso Prestige (Mangouras contro Spagna) del 2010, dove viene affermato che “la Corte non può ignorare la crescente e legittima preoccupazione che esiste sia a livello europeo che internazionale nei confronti del crimine ambientale”.

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