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Terrorismo, l’origine del Califfato è la Rivoluzione Islamica: Wahhabiti e Fratelli Musulmani

L’Arabia Saudita, nonostante gli sforzi, però non è ancora riuscita a neutralizzare l’Iran
L’Arabia Saudita nonostante gli sforzi, non è comunque riuscita a neutralizzare il suo acerrimo nemico iraniano. Nel merito ha condotto una politica ambigua e avventuristica nella prospettiva di esercitare un’egemonia conservatrice o decisamente reazionaria sul mondo sunnita, sia nell’area del Golfo sia in proiezione globale, finanziando gruppi integralisti e violenti: dai talebani in Afghanistan ad al-Nusra nella guerra civile siriana, allo stesso ISIS. Questa doppiezza non solo ha raffreddato i suoi rapporti con l’Occidente ma ha anche rimesso in discussione la pacifica convivenza con le analoghe aspirazioni coltivate dai Fratelli Musulmani aprendo un fronte conflittuale all’interno dell’Islam sunnita.
La guerra tra Wahhabismo e Fratellanza Musulmana
Il fronte conflittuale fra Wahhabismo e Fratellanza Musulmana in ambito sunnita era già attivo, ma silente negli anni precedenti. L’ideologia, le strutture e le finalità dei due movimenti pur se entrambi ispirati alla Salafia, sono in parte divergenti.
La Fratellanza Musulmana
Ideologia
Nata in Egitto nel 1928, ad opera di Hasan al-Banna (1906-1949). Questi si riallacciò al fondamentalismo propugnato da Rashid Rida, secondo il quale il risveglio dell’Islam doveva passare attraverso il ritorno alle fonti (pii antenati): eliminazione sia delle innovazioni sul piano teologico sia del culto dei santi sul piano antropologico ed il rifiuto dell’occidentalizzazione in analogia al pensiero di Ibn Taymiyya il quale aveva sostenuto l’obbligatorietà del jihad contro i Mongoli pagani conquistatori. Sayyid Qutb (1906 –1966), succeduto ad al Banna nella guida dell’organizzazione, introdusse il concetto secondo il quale la jahiliyya (ignoranza) non era legata a un ben definito periodo storico ma a tutti quei momenti storici ove la rivelazione di Maometto era dimenticata o non rispettata. Di conseguenza per combattere le società corrotte, come quella egiziana all’epoca subordinata alla colonizzazione britannica, occorreva ricorrere al jihad – alla stregua di quanto Taymiyya predicava contro i Mongoli – poiché la divulgazione del messaggio coranico era impedita o stravolta.
la Fratellanza Musulmana, quindi, auspica la riforma della società islamica inquinata dalla cultura e dal colonialismo occidentale da realizzare gradualmente attraverso varie fasi:
- in primo luogo la conversione dell’individuo all’Islam salafita “degli antenati” (epoca dei cosiddetti “4 califfi ben guidati”) cioè un ritorno dell’Islam alla fonte pura del Corano e della Sunna (Sunna = consuetudine, modo di comportarsi di Maometto nelle varie circostanze della vita, desunta dalle tradizioni di detti e fatti del profeta, considerati autentici, che ha valore di norma e di esempio per i credenti) e del loro rigoroso rispetto;
- poi la riforma spirituale e dei costumi – ripulendoli da tutti gli inquinamenti sopravvenuti – per trasformare la famiglia e la società per tendere alla fondazione di un governo islamico basato sulla Sharia;
- infine la diffusione della “dawa islamica” (propaganda e conversione all’Islam) in tutto il mondo per la costituzione di uno stato islamico basato sull’assistenza sociale, retto dal califfo.
La Struttura
L’organizzazione è stata articolata fin dalla fondazione in:
- “unità familiari”, sezioni o divisioni distribuite nei quartieri delle città;
- “uffici amministrativi” per sostenere le campagne di stampa, la pubblicazione di opuscoli, i viaggi di propaganda, ecc.;
- “Consiglio della shura”, un organismo consultivo per fornire suggerimenti di ordine politico, giuridico ed economico;
- ” Ufficio di orientamento” per indirizzare le scelte politico-strategiche;
- “Guida suprema” che dirige tutta l’organizzazione.
Tale struttura è molto simile a quella di un partito politico moderno con elevata capacità di penetrazione nel tessuto sociale di un paese attraverso iniziative caritatevoli ed assistenziali. Gli istituti caritatevoli islamici, le banche islamiche, le attività di carità islamica (Zakat), le scuole islamiche, i centri sportivi ed altri enti hanno il duplice scopo di diffondere il messaggio dell’Islam e allo stesso tempo di promuovere la Zakat per sostenere il jihad. L’organizzazione, in pratica, è una struttura gerarchica dominata dalla “Guida Suprema” alla quale sono subordinati sei livelli amministrativi, che includono nei loro ranghi diversi membri scelti dalla Fratellanza e cooptati attraverso l’indottrinamento. L’insegnamento dell’Islam è rivolto principalmente ai giovani e solo chi comprende a fondo tali insegnamenti può intraprendere il jihad, approccio che contribuisce tuttora a creare un pervasivo senso di dedizione tra i membri, dando loro un obiettivo e un piano d’azione a lungo termine.
L’Apparato dei Fratelli Musulmani
Durante la Seconda Guerra Mondiale, iniziò a svilupparsi un’ala militare denominata “Apparato”, che disponeva di ampia autonomia d’azione e che, probabilmente, sfuggiva al controllo della “Guida suprema” (al-Banna). Questa fazione, reduce dalla Palestina dove aveva combattuto volontariamente – tra le fila dell’Esercito Arabo di Liberazione (EAL) durante gli ultimi 6 mesi del Mandato britannico contro le comunità ebraiche – interpretò la sconfitta delle forze arabe come un tradimento della religione islamica. L’”Apparato” accusò i governi arabi – specie quello egiziano – di non aver aiutato i fratelli palestinesi e fu l’artefice di vari attentanti, fra cui quello del 28 dicembre del 1948, quando assassinò il Primo ministro egiziano Fahmi Al-Nuqrashi Pasha, ritenuto colpevole di aver approvato un decreto di scioglimento dei Fratelli Musulmani.
Gli Obiettivi
L’obiettivo fondamentale della Fratellanza è ricondurre le pratiche dell’Islam alle origini per ripristinare il califfato, praticando varie attività finalizzate a:
- Informare il mondo sull’Islam e diffonderne l’insegnamento;
- Unificare il mondo sotto il vessillo dell’Islam;
- Innalzare il tenore di vita e sostenere la giustizia sociale;
- Combattere le malattie, la povertà, l’ignoranza e la fame attraverso l’insegnamento dell’Islam;
- Liberare la nazione islamica (Ummah) dalle regole degli infedeli;
- Creare un governo universale islamico basato sulla Sharia e sull’Islam (califfato).
L’obiettivo finale è dunque la costruzione di un califfato globale (Stato Islamico) in cui il Califfo (monarca) regna applicando norme e leggi conformi alla Sharia (legge islamica).
La Strategia della Fratellanza Musulmana
La strategia adottata dalla Fratellanza Musulmana per raggiungere gli obiettivi non è rigorosa ma flessibile cioè modellabile a seconda degli ambienti, delle circostanze e delle situazioni ma sempre finalizzata al raggiungimento degli obiettivi sopracitati. La parola d’ordine è “gradualità”, una strategia essenziale che la Fratellanza adotta per insinuarsi progressivamente nelle società e poter poi conquistare il potere. La tecnica “gradualista” è molto astuta perché penetra in ogni ambiente fornendo una falsa sensazione di moderazionetanto che in molti Paesi, compresa l’Italia, la Fratellanza è considerata l’Islam moderato. I fondamenti teologici della strategia della gradualità sono stati delineati dallo sceicco Yussef al-Qaradawi che, nelle sue linee guida, ha ricordato come la Sharia (legge islamica) vada introdotta in maniera graduale persino nei Paesi islamici (nessun taglio di mani nei primi cinque anni).
Il “Progetto”
In una guida scritta denominata “Progetto”, sequestrata nel 2001 a Lugano dall’FBI statunitense durante una operazione volta a sgominare una organizzazione che finanziava il terrorismo islamico si legge: “…Il processo di imposizione della Sharia (islamizzazione) in America deve essere una sorta di Grande Jihad volta a distruggere la civiltà occidentale dal suo interno e «trasportare» le loro case dalle mani dei miscredenti a quelle dei credenti in modo graduale”. Nel documento era anche ben delineata la “strategia della gradualità” che prevedeva due fasi principali divise a loro volta in altre fasi minori:
1: graduale sviluppo della comunità islamica in occidente;
2: progressiva diffusione dell’Islam nella sfera politica occidentale.
Alle due fasi sono collegate altre sotto-fasi:
- Fase 1: Dawa (propaganda e conversione all’Islam) caratterizzata dalla formazione con la creazione di centri di studio e di preghiera per tutti i musulmani insegnando loro i principi dell’Islam. Si sviluppa con la costruzione di moschee o luoghi di preghiera e di comunità;
- Fase 2: Dawa parte seconda, consistente nel fare proselitismo con mezzi pacifici dei non musulmani, per convertire quanti più settori della società occidentale attraverso la diffusione di letteratura islamica, conferenze e collaborazione con la “comunità ospitante”;
- Fase 3: il jihad, ricorso alla violenza, ove necessario, per diffondere l’Islam. Questa fase introduce esplicitamente l’uso della violenza che all’inizio deve essere solo di carattere difensivo, cioè volta a liberare territori musulmani dagli infedeli. Il jihad può essere sviluppato sia contro i non musulmani sia contro i governi musulmani che sono considerati “takfir”, cioè empi perché non rappresentano il “vero Islam”;
- Fase 4: Khalipha, il Califfato, ultima fase tesa alla ricostituzione di un califfato islamico e alla diffusione dell’Islam in tutto il mondo.
Il Wahhabismo
L’Ideologia
Il Wahhabismo è una corrente religiosa sunnita integralista e totalizzante che assomma in sé idee politiche, sociali e religiose, basandosi su una rigida interpretazione del Corano e della Sunna. Ideologo del Wahhabismo è stato Muḥammad ibn Abd al-Wahhab da cui il movimento religioso ha anche preso il nome. La dottrina wahhabita sorse intorno al 1730/1740 in quanto i costumi di allora erano ritenuti corrotti e non conformi alla vera tradizione islamica. Allora Wahhab iniziò a predicare il ritorno alla fede originaria per purificare l’Islam ed eliminare tutte le influenze culturali straniere e coloniali che lo avevano corrotto, alla stregua di quanto fatto a suo tempo da Ibn Taymiyya. Questa purificazione prevedeva un’interpretazione letterale del Corano e della Sunna, così come avevano fatto i cosiddetti “al-salaf al-ṣaliḥin”, ossia i “puri antenati”, con un controllo molto rigido sui comportamenti sociali.
Nel 1744 Wahhab – che fino a quel momento era stato poco ascoltato nel professare le sue idee religiose – strinse un patto di reciproca fedeltà con l’emiro Muḥammad bin Saud, il capostipite della famiglia saudita, denominato Patto del Najd. Il Wahhabismo fu allora accettato dai Saud e divenne dottrina dello Stato saudita. Il Wahhabismo introdusse la netta separazione tra maschi e femmine, il divieto assoluto di bere alcolici o fumare, ecc. In pratica a realizzato una società molto conservatrice e lontana da ogni apertura verso stili di vita diversi. Sufi e sciiti, furono e sono considerati infedeli alla stregua di tutti coloro che non praticano l’Islam wahhabita.
La Struttura
Trattandosi di corrente religiosa statuale non ha strutture amministrative proprie fatta eccezione della Lega Musulmana Mondiale, istituita da Faisal Saud nel 1962 per promuovere la diffusione dell’Islam nel mondo, nonché delle moschee fra cui quelle dei luoghi sacri di La Mecca e Medina e delle madrase (scuole coraniche). Tuttavia si avvale di organizzazioni a carattere internazionale, specie ONG, utili per la diffusione del credo wahhabita.
Gli Obiettivi
Mantenere ed ampliare la leadership dell’Islam sunnita, difendere e proteggere i luoghi sacri di La Mecca e Medina, legalizzare e conservare la dinastia monarchica dei Saud. Inizialmente Wahhab ed i Saud per conquistare i vari territori dell’Arabia si avvalsero degli Ikhwan (“fratelli” da non confondere con i Fratelli Mussulmani) una milizia religiosa islamica che costituì la parte preponderante delle forze armate dei Saud. Gli Ikhwan erano membri di tribù beduine, una sorta di “fratellanza religiosa militante” incaricata di insediare i beduini delle tribù arabe intorno ai pozzi di acqua potabile e alle oasi. Secondo il pensiero wahhabita la vita nomade era ritenuta incompatibile con la stretta osservanza dell’Islam. Inoltre erano incaricati di istruire i beduini nei precetti fondamentalisti wahhabiti per l’unificazione del mondo islamico.
La Strategia
All’inizio della conquista arabica gli Ikhwan, guerrieri irregolari tribali, combattevano soprattutto con spade e lance – normalmente attaccavano con rapide incursioni, forma tradizionale di combattimento dei beduini del deserto – cavalcando essenzialmente a dorso di dromedario e uccidendo ogni maschio catturato tagliandogli la gola. Le loro incursioni, si sviluppavano all’interno e fuori del Najd – (“altipiano”) una regione centrale dell’Arabia Saudita, di cui Riyaḍ era la principale città. L’area fu strappata all’Impero Ottomano fra il 1899 e il 1912 da Abd al-Aziz Al Saud, che ne fece il suo sultanato poi trasformato in Arabia Saudita.
Il patto del Najd e la “spartizione” del potere temporale e spirituale
Il patto del Najd, in sostanza fu una “spartizione” del potere, da una parte quello spirituale dall’altra quello temporale; Ibn Abd al-Wahhab nominava gli ulema (gli esperti di scienze religiose islamiche), i cadi (giudici monocratici religiosi) e provvedeva all’istruzione religiosa. Mohammad bin Saud esercitava il potere temporale, cioè nominava i governatori delle province, decideva e gestiva la guerra, riscuoteva le tasse dei sudditi e si impegnava a seguire la dottrina unitaria wahhabita. Questo accordo non solo consentì di unificare l’area in un unico Stato, l’Arabia Saudita, ma intese anche re-islamizzare i musulmani, invitando tutti i sovrani medio-orientali a seguire la via dell’unitarismo wahhabita, pena la dichiarazione del jihad contro di loro.
I vantaggi del patto del Najid per bin Saud e Ibn Abd al-Wahhab
Mohammad bin Saud otteneva così la legittimazione religiosa del suo potere temporale ed Ibn Abd al-Wahhab conseguiva la protezione di un braccio armato che prima gli mancava, inaugurando con i suoi accoliti rigoristi l’espansione della dottrina wahhabita, attraverso il jihad contro i musulmani miscredenti. L’alleanza costituì una forma di potere bicefalo tutt’oggi in vigore: il potere religioso fu conferito nelle mani della famiglia wahhabita, discendenti di Abdelwahhab. Di contro il potere politico venne posto nelle mani dei Saud ove tuttora risiede, una monarchia molto ricca, che ha adottato in parte il capitalismo consumista, ibridando le logiche capitalistiche con l’esigenza politica di un dominio religioso islamico per mantenere il potere.
La ribellione degli Ikhwan
Nel 1926 gli Ikhwan si ribellarono alla casa regnante che voleva introdurre innovazioni come il telefono, le automobili, ecc. I tentativi di placare questa rivolta inizialmente furono vani in quanto gli Ikhwan esposero le loro accuse ai sapienti religiosi (ulema) e provocarono un incidente internazionale distruggendo truppe irachene che avevano violato la zona neutrale iracheno-arabica. Solo nell’ottobre del1928, fu domata con l’uccisione di quasi tutti i loro capi mentre le milizie furono sparpagliate. Nel 1930 i sussistiti furono riorganizzati in forza regolare ed andarono a costituire la Guardia Nazionale dell’Arabia Saudita, ma non ne venne spenta la dottrina estremista. Da allora l’alleanza tra la famiglia reale saudita e il Wahhabismo è stata fragile e per restare al potere i Saud dovettero cedere agli ulema il totale controllo sulla religione.
Il patto del Najd diventa simbolo di lealtà alla famiglia reale saudita
Dopo la Seconda Guerra Mondiale il corteggiamento inglese ed americano nei confronti dell’Arabia petrolifera e la legittima pretesa hascemita sull’Hijaz costrinsero i Sauditi a sviluppare un gioco diplomatico molto sofisticato. Di conseguenza l’ideologia tradizionale dei discendenti di Wahhab fu costretta a mutare ed il patto del Najd, da strumento politico-religioso improntato al jihad rivoluzionario e alla purificazione degli infedeli, divenne declinazione di conservazione sociale, politica e religiosa per il sostegno e la lealtà alla famiglia reale saudita, nonché al potere assoluto del re. Significativo nel merito sono: La bandiera dell’Arabia Saudita che consiste in un drappo dallo sfondo verde in cui è inserita una frase in arabo che tradotta significa: “Non c’è dio all’infuori di Allah e Muhammad è il suo profeta”. Dal 1973 la bandiera nazionale reca in basso al battente l’emblema di stato in giallo-oro. L’emblema di stato, che è formato da due spade incrociate ai piedi di una palma: le due spade richiamano il trionfo del fondatore del regno – Abd al-Aziz – e rappresentano il trionfo militare dell’Islam.
Gli Indomabili
Gli Autori
Luciano Piacentini – Brevettato incursore, è stato Comandante di Unità Incursori nel grado di Tenente e Capitano. Assegnato allo Stato Maggiore dell’Esercito, ha in seguito comandato il Nono Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” e successivamente ricoperto l’incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata Paracadutisti “Folgore”. Ha prestato la sua opera negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. E’ laureato in Scienze Strategiche e Scienze Politiche.
Claudio Masci – Ufficiale dei Carabinieri proveniente dall’Accademia Militare di Modena, dopo aver assunto il comando di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali. Laureato in scienze politiche. Tra i suoi contributi L’intelligence tra conflitti e mediazione, Caucci Editore, Bari 2010 e The future of intelligence, 15 aprile 20122, Longitude, rivista mensile del MAECI.
Pino Bianchi – Architetto, esperto in risk management, organizzazione, reingegnerizzazione dei processi e sistemi di gestione aziendali. Per oltre venti anni ha diretto attività di business, marketing, comunicazione e organizzazione in imprese multinazionali americane ed europee. Consulente di direzione in ICT, marketing, comunicazione, business planning e project financing.
ANTIOCO – Ha maturato varie esperienze lavorative in Italia e all’estero occupandosi di consulenza direzionale, sviluppo di mercati, cooperazione internazionale e gestione commerciale per rilevanti realtà industriali. Da sempre attento ai temi della security, ha ricoperto in realtà strategiche nazionali vari ruoli di responsabilità occupandosi di business continuity, security strategic planning, security communication, ricerca e analisi informativa e corporate intelligence.
Claudio Masci e Luciano Piacentini sono gli autori di: “The future of intelligence”, articolo del 15 aprile 2012, pubblicato su Longitude, rivista mensile del MAECI, nonché dei libri: “L’intelligence tra conflitti e mediazione”, Caucci Editore, Bari 2010 (esaurito) e di “Humint… questa sconosciuta (Funzione intelligence evergreen)”, acquistabile da Amazon.