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L’intelligence in Italia oggi e il suo rapporto con il Paese

Analisi a cura dei generali Claudio Masci e Luciano Piacentini
Il leitmotiv del XXI secolo è “Intelligence sharing”, ma la definizione è un ossimoro
L’avvio del XXI secolo è caratterizzato da un leitmotiv dal titolo “Intelligence sharing”, ovvero condivisione dell’Intelligence, che viene comunemente interpretato come “la capacità di scambiare informazioni, dati o conoscenze tra soggetti statali o tra questi e soggetti privati.” Inoltre, i vari think tank che suonano e diffondono il refrain sono soliti aggiungere che la condivisione dell’intelligence comporta anche accordi intergovernativi bilaterali o multilaterali con organizzazioni private e/o organizzazioni internazionali, allo scopo di facilitare l’impiego dell’intelligence ad una più ampia gamma di decisori. La definizione si presenta, di per sé, come un ossimoro in quanto secondo i parametri della cultura umanistica occidentale – armonia, limiti, proporzioni e misura – non coincide con la cultura imprenditoriale del taylorismo né con quella scientifica binaria (0-1) oppure cultura tecnologica che dir si voglia.
L’intelligence non è un soggetto autoreferenziale, che può offrire i suoi servigi indifferentemente alla Comunità internazionale, ma uno squisitamente politico al servizio di uno Stato
Secondo la cultura occidentale, l’Intelligence – figlia moderna dello spionaggio e contro spionaggio, il secondo mestiere più vecchio del mondo – strumento indispensabile per tutelare gli interessi vitali nazionali di uno Stato, inteso quale soggetto post-vestfaliano titolare di diritti internazionali, è la risultante della elaborazione di informazioni, dati e conoscenze, con proiezione futura. L’Intelligence non è un soggetto autoreferenziale che può offrire i suoi servigi indifferentemente ai vari soggetti della Comunità Internazionale e richiederne il corrispettivo compenso, bensì un soggetto squisitamente politico al servizio di uno Stato. Il concetto è stato ben delineato dal nostro illustre Presidente Mattarella: “Gli organismi informativi non sono al servizio del governo, bensì operano, sotto la direzione dell’esecutivo in carica, a beneficio della sicurezza dello Stato e, pertanto, nell’interesse dell’intera collettività nazionale…”.
L’intelligence persegue fini di natura istituzionale ed è indissolubilmente legata all’interesse della intera collettività nazionale
L’Intelligence non è uno strumento “di parte” ma persegue fini di natura “istituzionale”, perché indissolubilmente legata all’interesse dell’intera collettività nazionale, cioè di uno Stato e, di conseguenza, costituisce fattore indispensabile per supportare le decisioni politiche. Lo Stato italiano ha affidato la direzione e la responsabilità dell’attività di intelligence al Presidente del Consiglio dei Ministri, unico e ultimo decisore politico che ha il compito di salvaguardare gli interessi nazionali. A questo Decisore ultimo deve essere esclusivamente fornito il prodotto Intelligence, avente capacità previsionali, – in maniera chiara e immediatamente fruibile – in modo da consentirgli di assumere, con tempestività, le decisioni più appropriate per la difesa dei nostri interessi vitali nazionali. Dal punto di vista giuridico-costituzionale non sono stati ancora realizzati Stati multinazionali né sovranazionali – ma solo confederali e federali – pertanto l’Intelligence sharing, non è proponibile, anche se potrebbe trovare valida applicazione qualora venisse realizzata una federazione o confederazione europea.
L’Intelligence è fornita solo al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano. Questi autorizza lo scambio di informazioni e dati con altri partner
In sintesi, in ogni Stato – inclusi quelli di tipo federale e confederale – l’Intelligence risponde alla Costituzione di cui è dotato. Costituzioni diverse da Stato a Stato caratterizzate da diversi Interessi Nazionali. Gli stessi think tank aggiungono che la condivisione dell’Intelligence è necessaria perché la condivisione delle informazioni, finora attuata, coinvolge “materia prima grezza” non valutata, cioè ancora non sottoposta ai rigori valutativi del ciclo intelligence. Si sta ancora sovrapponendo confusione a confusione. Nel merito, come già indicato e come la legge prescrive, l’Intelligence è fornita solo al nostro Presidente del Consiglio dei Ministri. Questi, quale Decisore ultimo, per meglio finalizzare il prodotto Intelligence, autorizza – in funzione della tutela degli interessi nazionali – lo scambio di informazioni dati e conoscenze da validare congiuntamente con altri partner su “materie specifiche” e con obiettivi condivisi.
Lo scambio di Intelligence avviene solo nel contesto di alleanze militari o politico-economiche, ove i vari Comitati o Consigli fungono da “fusion center”
Tale scambio, per i professionisti dell’Intelligence, non è costituito da articoli di stampa o fake news, bensì da informazioni valide ed attendibili. Poi, ogni Apparato Informativo e di Sicurezza – sulla base delle proprie procedure, della propria articolazione giuridico-amministrativa nonché del proprio patrimonio informativo consolidato – elaborerà le suddette informazioni nell’appropriato prodotto intelligence da fornire al rispettivo Decisore politico. Lo scambio di Intelligence avviene solo nel contesto di alleanze militari o politico-economiche ove i vari Comitati o Consigli fungono da “fusion center” dell’Intelligence fornita dalle varie nazioni partecipanti.
La collaborazione fra Stati nel settore informativo va incentrata non sulla “Intelligence sharing” ma sulla “Information sharing”
Il termine “Intelligence sharing” è stato coniato dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001, quando Robert Steel pubblicò “On Intelligence” – volume caratterizzato da critiche volte alle disarmoniche branche informative statunitensi – innescando il conseguente intervento di diversi atti del Congresso mirati alla riorganizzazione della Comunità Intelligence Statunitense. I dispositivi normativi formalizzarono procedure di condivisione dell’Intelligence e nominarono, nel 2005, John Dimitri Negroponte quale Direttore dell’Intelligence Nazionale, per coordinarle. Le peculiarità ordinative e giuridico-amministrative statunitensi a buona ragione necessitavano dell’Intelligence sharing, a causa di una mancata “centralizzazione del prodotto informativo”, ma non certamente gli Stati diversamente organizzati. Di conseguenza, la collaborazione fra Stati – riguardante il settore informativo – va incentrata non sulla “Intelligence sharing” ma sulla “Information sharing” che se non viene attuata sulla base di un’onesta e responsabile partecipazione, si traduce in “misure attive” o se si preferisce in “Psy-Ops.”: cioè influenza, propaganda, ingerenza, disinformazione, inganno.
Facciamo chiarezza sul partenariato “pubblico- privato”
Lo scambio di informazioni, dati e conoscenze convalidate – e non lo scambio di Intelligence – è l’ultimo stadio per giungere ad una corretta collaborazione con altri partner su precise e specifiche tematiche che richiedono approcci e soluzioni politicamente condivisi. In tale contesto si inserisce l’altrettanto decantato partenariato “pubblico- privato”, al fine di realizzare il cosiddetto “Sistema-Paese”. Anche in questo settore occorre fare chiarezza perché un’errata o riduttiva interpretazione rischia di avere incidenze e ricadute negative sugli Interessi Nazionali e sul sistema di Sicurezza Nazionale. Poiché il sistema informativo non è autoreferenziale – ma al servizio della politica – è indispensabile che quest’ultima fornisca agli Apparati informativi e di sicurezza gli orientamenti strategici e gli obiettivi prioritari da perseguire, definendo quali siano gli “interessi vitali nazionali” che essi devono tutelare. Altrimenti si lascia spazio di manovra ad influenze/ingerenze esterne o a deviazioni interne.
Né il concetto di “Interesse Nazionale” né quello di “Sistema-Paese” sono stati oggetto di una definizione nelle sedi istituzionali
Tale definizione, essendo prerogativa squisitamente politica, affinché possa avere una valenza su tutta la collettività – e non solo sulla classe egemone – non può essere esclusivo appannaggio della maggioranza ma si ritiene necessario che venga saldamente concordata e definita anche con l’opposizione nelle appropriate sedi. Finora, né il concetto di “Interesse Nazionale” né quello di “Sistema-Paese” sono stati oggetto di una definizione nelle sedi istituzionali – nonostante tali concetti abbiano immediata e rilevante importanza per il sistema di Sicurezza Nazionale – tenendo peraltro presente che l’unico impegno, nel merito, è riconducibile agli intellettuali.
Per gli intellettuali il concetto di “interesse nazionale” si colloca nel contesto dello sviluppo delle relazioni internazionali
Per costoro, il concetto di “interesse nazionale” si colloca nel contesto dello sviluppo delle relazioni internazionali – ambiente in cui la globalizzazione ha ormai insegnato che i conflitti si affrontano e si risolvono con la mediazione ed il soft power e non con l’aggressività e l’hard power – dato che la concretezza del concetto è incentrata su due cardini fondamentali: il mutevole paradigma dei pericoli, delle minacce e delle vulnerabilità, che ne comporta la ridefinizione e l’adeguamento sulla base delle priorità. Infatti il concetto, oltre ad avvalersi di parametri oggettivi riguardanti la collocazione del Paese nello spazio geopolitico – afferente a territorio geografico, storia, cultura e politica – sostanzialmente stabile nel lungo periodo, va interpretato anche alla luce di criteri soggettivi di giudizio, mutevoli secondo le maggioranze politiche e le evoluzioni della politica internazionale.
Nell’era dell’informazione la tendenza dei conflitti è sempre più virtuale
Il secondo è la compatibilità della sua definizione con la disponibilità di risorse materiali ed immateriali che ne delimitano i fattori di potenza, anche per circoscrivere i velleitarismi espansionistici del fantasma dello “spazio vitale”. Ciò soprattutto nell’era dell’informazione in cui con l’avvento dell’ICT (Information and Communications Technology) non ha più alcun senso parlare di “spazio vitale”. Nell’era dell’informazione la tendenza dei conflitti è sempre più virtuale con riduzione del potere statuale che dipende sempre meno dal territorio, dalla potenza militare e dalle risorse naturali e sempre di più dalla cultura, dalle idee, dalle conoscenze tecnologiche e dalla ricerca scientifica, indispensabili fattori di potenza per una media potenza come l’Italia.
L’interesse nazionale è l’oggetto che la Sicurezza Nazionale ha il compito di tutelare, preservandolo dalle minacce e dai pericoli
L’interesse nazionale, inoltre, presuppone l’individuazione delle minacce e delle vulnerabilità in costante trasformazione ed evoluzione; costituisce l’oggetto che la Sicurezza Nazionale ha il compito di tutelare, preservandolo dalle minacce, dai pericoli e dal timore che possa essere aggredito o sovvertito; comporta senso di appartenenza e coesione da parte di tutti i cittadini; ragion per cui la sua definizione necessita dell’accordo fra maggioranza ed opposizione affinché possa fare fronte e resistere alle evoluzioni della politica internazionale. Per la comunità politica statuale l’interesse nazionale si identifica nei seguenti valori fondamentali: mantenimento della propria sovranità ed identità culturale, della propria integrità territoriale ed ordinamentale nonché del proprio benessere economico-sociale1. Valori che, in quanto vitali, non sono negoziabili.
Con l’avvento della globalizzazione sono stati sempre più condizionati il benessere economico e l’identità culturale
Occorre infine considerare che l’interesse nazionale, con l’avvento della globalizzazione, vede sempre più condizionati: il benessere economico, indifeso dalla competitività e competizione economica sviluppata non solo da avversari e competitor ma anche da alleati ed amici con iniziative autonome (cfr. attività sviluppate da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti in Libia, non certo favorevoli agli interessi del nostro Paese); l’identità culturale, aggredita dall’eterogenea moltitudine di immigranti, regolari e clandestini, che avendo scelto il nostro paese nel presupposto che qui si viva meglio che nel loro, una volta giunti pretendono lo stravolgimento del nostro patrimonio di valori.
La collaborazione con i partner europei deve essere una superstrada a doppio senso di circolazione attraverso la quale siano protetti anche gli interessi vitali nazionali italiani
Bisogna difendere sia il nostro benessere economico sia la nostra identità culturale, esigendo il rispetto di regole giuridiche e di norme di comportamento con cui abbiamo faticosamente organizzato la nostra società, adottando modelli validi per dare la migliore risposta ai nostri bisogni. La collaborazione con i partner europei non può essere una strada a senso unico ma almeno una superstrada a doppio senso di circolazione attraverso la quale anche i nostri interessi vitali nazionali abbiano un minimo di protezione.
Per contrastare efficacemente il fenomeno del terrorismo bisogna puntare sull’integrazione
L’altro indispensabile fattore di sicurezza su cui puntare, è l’integrazione soprattutto per dare efficacia al contrasto del fenomeno terroristico. È un processo di sviluppo già enunciato da Cicerone che intendeva la cultura come modello da proporre all’esterno per poter avere accesso alla cittadinanza romana (Civis Romanus sum, ovvero Sono cittadino romano). Complesso di valori riscoperto ed impiegato anche da Mohammed Khatami – Presidente dell’Iran dal 1997 al 2005 – come risposta alla teoria di Samuel Huntington, formulata nel 2000 sullo “Scontro di civiltà”, contrapposizione dettata dalle differenze culturali incentrate sulla religione. Riprendendo la dimensione oggettiva degli interessi nazionali, occorre sottolineare che quelli italiani sono stati inseriti – per secoli – in un triangolo equilatero i cui vertici sono rappresentati da: Danimarca, Marocco e Giordania, area che in sostanza delineava la massima estensione dell’Impero Romano, che ha dato l’impronta della latinità, o meglio della civiltà greco-romana, a tutta la regione euro-mediterranea.
L’Italia, rispetto ad anglosassoni e francesi, è maggiormente condizionata dalla componente geografica nel tracciare strategie geopolitiche
L’evoluzione dei tempi e delle società, gli avvicendamenti di regimi politici e delle alleanze strategiche non hanno mai scalfito quest’area in cui gravitano. Anzi, l’hanno consolidata attraverso varie fasi, fra le quali occorre rammentare quella avviata fin dal 1943 con il “Manifesto di Ventotene”, in cui Altiero Spinelli vagheggiava una Federazione Europea sia come unico rimedio alle guerre fratricide del Vecchio Continente, sia come efficace strumento delle relazioni internazionali con le grandi e medie potenze. L’Italia, rispetto agli anglosassoni ed ai francesi, è maggiormente condizionata dalla componente geografica nel tracciare strategie geopolitiche in quanto – per la sua collocazione geografica – rappresenta lo sbocco marittimo dell’Europa continentale. Per questa sua condizione di isolamento geografico, la nostra penisola ha una scarsità di risorse naturali che la rendono dipendente sia sotto il profilo energetico sia sotto quello economico dal traffico commerciale terrestre e marittimo.
L’Italia, per la sua proiezione nel Mediterraneo, costituisce una tappa obbligatoria dall’Est all’Ovest e da Nord a Sud
Il quadro delineato costituisce un vincolo allo sviluppo di un’economia di trasformazione basata sull’importazione di materie prime. In tale contesto i trafori, i valichi alpini e gli stretti (Suez e Gibilterra) ne condizionano lo sviluppo economico e si configurano come punti sensibili per la nostra sicurezza nazionale. Tuttavia, per la sua proiezione nel Mediterraneo, il nostro Paese costituisce una tappa obbligatoria dall’Est all’Ovest e da Nord a Sud sia per gli scambi commerciali sia per le relazioni internazionali, rimanendo comunque coinvolto nelle situazioni di criticità che si sviluppano nell’area. In questo scenario l’Italia, da oltre cinquant’anni, ha incentrato la sua politica estera sulla direttrice di “tre cerchi concentrici”: Europa, Nato, Nazioni Unite, spalmando gli interessi vitali nazionali sull’area euro-mediterranea, su quella euro-atlantica e a supporto dell’ONU per la soluzione pacifica delle controversie.
Nel Mediterraneo l’Europa può giocare nel ruolo di attore globale
La partecipazione alla Comunità Europea è vitale in quanto parte irrinunciabile della nostra identità nazionale e del nostro benessere economico. A volte è necessario ricordare che “L’Europa intera è nel Mediterraneo” – come diceva il Ministro degli Esteri Aldo Moro – ed è qui, nel Mediterraneo, che l’Europa può giocare nel ruolo di attore globale. Come promotore e artefice della pace, cogliendo le opportunità di una cooperazione per lo sviluppo e, al tempo stesso, aprire la collaborazione ed il dialogo tra le culture e le religioni. L’adesione all’Alleanza atlantica è vitale per la sua funzione di difesa strategica, proporzionale alle potenzialità complessive del nostro Paese e bilanciata sia nella nostra capacità militare, sia nella nostra potenzialità industriale, riducendo anche l’impatto sul bilancio nazionale. Il supporto alle attribuzioni dell’ONU per la soluzione pacifica delle controversie – peraltro sancito costituzionalmente (Art. 11) – è una scelta vitale per evitare la compromissione del nostro business all’estero e garantire indirettamente il benessere economico.
L’economia nel contesto globalizzato ha messo in discussione soprattutto il sistema di alleanze internazionali
Purtroppo, l’importanza assunta dall’economia nel contesto globalizzato ha messo in discussione soprattutto il sistema di alleanze internazionali che, pur essendo basato su legami strategico-militari, non garantisce la difesa nel contesto economico, nel quale operano a tutto campo soggetti pubblici e privati. Conseguentemente, le scelte di politica estera – pur se coerenti con i nostri fattori di potenza e le nostre condizioni di vulnerabilità – sottopongono ad una continua riduzione i nostri interessi nazionali. Motivo per il quale siamo costretti, di volta in volta, a mediare il loro perseguimento con quelli degli alleati euro-atlantici, soprattutto nell’area del Mediterraneo.
Bisogna negoziare impiegando il Sistema Paese
Per evitare che questa continua negoziazione avvenga in maniera scoordinata e sia sviluppata singolarmente dalle varie e limitate realtà che afferiscono ai nostri fattori di potenza – con il rischio di fallire l’obiettivo – occorre negoziare impiegando il “Sistema-Paese”. Quest’ultimo quale componente di tutte le strutture – pubbliche e private – che collaborano a sostenere l’attività internazionale dell’Italia: le istituzioni politiche, economiche e militari, le imprese, le organizzazioni scientifiche e culturali che, congiuntamente (Comprehensive Approach), determinano strategie internazionali per ottenere vantaggi competitivi.
I fattori che rendono difficile la difesa dei nostri interessi vitali nazionali
In assenza del “Sistema-Paese”, la difesa dei nostri interessi vitali nazionali è stata resa via via sempre più difficile da diversi fattori:
A) Privatizzazioni, realizzate non solo in riferimento ai servizi sociali, ma anche in direzione di funzioni tipicamente statali, quali i trasporti, le comunicazioni, l’energia, ecc… Tali settori vanno sottoposti a tutela perché garantiscono l’essenziale sopravvivenza del Paese, in quanto incorporati negli interessi nazionali. Gli asset strategici – infrastrutture critiche, autostrade, ferrovie, dorsali elettriche ed elettroniche, reti telefoniche, vigilanza sulle banche, ecc. – non possono essere assoggettati al privato perché incidono sia sul principio di sovranità, erodendola, sia sulle potenziali capacità dello Stato di assicurare ai cittadini il benessere economico.
B) Manovre finanziarie speculative – che hanno investito anche amministrazioni pubbliche con operazioni realizzate per migliorare temporaneamente i conti pubblici, ma che si sono risolte in un incremento del debito pubblico – hanno messo in crisi il sistema creditizio costringendo lo Stato al salvataggio di banche per evitarne il tracollo. È stato, pertanto, sottratto credito alle imprese che, anemizzate dal ridotto o interrotto flusso di credito, sono fallite o sono state oggetto di “assalti al made in Italy”, da tutte le direzioni. Tali assalti si sono concentrati soprattutto in settori di massimo richiamo – come il lusso o l’alimentare – oltre che in quello industriale e di avanzata tecnologia, specie ad opera dei partner francesi e tedeschi.
C) Comparsa della Infowar, ossia dell’informazione trasformata in potere, capace di conseguire obiettivi politici, strategici, economici nonché di spiare, influenzare e destabilizzare anche attraverso l’hakeraggio. La nuova minaccia si sta sviluppando con metodi di soft power, per anestetizzarne la percezione e creare vulnerabilità in ogni strato del Paese.
Le acquisizioni estere di parti del Sistema-Paese hanno contribuito alla definizione di uno scenario internazionale caratterizzato da fattori di rischio molto alti
Tutto ciò ha consentito a soggetti statuali – e non – di acquisire parti del “Sistema-Paese”, contribuendo alla definizione di uno scenario internazionale caratterizzato da fattori di rischio molto alti, sovrapposto al rischio strategico classico. Le acquisizioni di parti dell’industria italiana ad opera di colossi esteri, pur se hanno fatto riflettere il mondo economico sull’incapacità di difendere le eccellenze dell’italianità e di dover “fare maggiormente rete” di fronte alla crescita inarrestabile degli altri, hanno tuttavia rafforzato il partito di coloro i quali sostengono che ormai il capitale non ha nazionalità. Per costoro riveste importanza solo garantire un futuro stabile e prospero a quelle aziende che riescono a trovare una degna collocazione in gruppi di dimensione mondiale.
Non è concepibile un “Sistema-Paese” completamente separato dal sistema di Sicurezza Nazionale
Siffatte criticità non si risolvono solo con l’esortazione all’apparato economico-commerciale a “fare rete”; cioè cooperare – sulla base di un’idea-forza incentrata su solidarietà, sussidiarietà, partecipazione, condivisione di responsabilità e cultura – per affrontare la competitività a livello internazionale. Oppure con la realizzazione della Direzione Generale per la promozione del “Sistema-Paese” (DGSP) – costituita nell’ambito del Ministero degli Affari Esteri – con l’obiettivo di trattare, in linea generale, la promozione all’estero dell’economia, della cultura e della scienza italiane. Nel quadro delineato, non è concepibile un “Sistema-Paese” completamente separato dal sistema di Sicurezza Nazionale, tant’è che da più parti si invoca l’adozione di un partenariato “pubblico-privato” per trascinare – nella tutela dell’interesse nazionale – tutte le componenti dei fattori di potenza.
La gestione politica del “Sistema-Paese” deve essere “assorbita” nell’ambito della Sicurezza Nazionale, soprattutto sulla tutela del patrimonio economico e del know how nazionale
Nel realizzare il disegno strategico, occorre però fare attenzione a non delegare al privato la gestione del pubblico, altrimenti faremmo un ulteriore danno in aggiunta a quello già operato dalle privatizzazioni. Per siffatte ragioni è necessario che la gestione politica del “Sistema-Paese” venga “assorbita” nell’ambito della Sicurezza Nazionale, soprattutto con riferimento alla tutela del patrimonio economico e del know how nazionale. Il conseguimento dell’obiettivo potrebbe trovare soluzione con un’articolazione analoga a quella realizzata per contrastare la minaccia terroristica (CASA, Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo) con la costituzione di un “centro di fusione” in cui cooperano tutte le strutture, pubbliche e private, interessate al fenomeno. A tale scopo, è fondamentale il ruolo dell’Intelligence Economica statuale, intesa come ricerca ed elaborazione di notizie finalizzate alla tutela degli interessi economici, finanziari, industriali e scientifici di un paese ad opera dei suoi Servizi di Informazione.
Il ruolo chiave potrebbe essere giocato da un fusion center in cui operano tutte le strutture, pubbliche e provate, interessate al fenomeno
Il peculiare apparato informativo – unitamente alle altre componenti strategiche del sistema di sicurezza nazionale, con l’incisivo supporto della Direzione Generale per la promozione del “Sistema-Paese” del MAECI – deve fornire al Decisore politico le conoscenze indispensabili per tracciare nelle sedi istituzionali (Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica, CISR) gli interessi vitali nazionali da tutelare. Tale funzione preventiva – volta a comprendere gli ambienti economico-finanziari, le tecniche, il modo di pensare dei competitors e dei soci, la loro cultura, le loro intenzioni, le loro capacità nel settore del know how scientifico e tecnologico – è indispensabile al fine di tracciare le conseguenti direttrici strategiche. Gli interessi vitali nazionali così individuati potrebbero essere poi sottoposti all’approvazione dell’Organo parlamentare di controllo (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, COPASIR), che potrebbe anche indicarne l’ordine prioritario di importanza.
Il DIS svolgerebbe un ruolo di coordinamento tra pubblico e privato
Sulla base delle direttive politiche ricevute, l’apparato informativo potrà avviare le appropriate misure indispensabili per tutelare i settori strategici del Paese, nonché per mantenere e/o penetrare i mercati internazionali, avvalendosi della necessaria collaborazione di imprese, enti privati ed associazioni professionali. Detti partner, altresì, dovranno essere edotti – tramite il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) – in merito alle suddette direttrici politiche entro le quali essi potranno operare. Ciò non significa “assoldare” i soggetti attivi del “Sistema-Paese” al servizio dell’Intelligence statuale, ma indicare loro la strategia politica che il sistema intende perseguire – nonché i correlati rischi ed opportunità a livello globale – lasciando che gli stessi, sulla base di tali indicazioni, possano sviluppare ciascuno il proprio ruolo con l’impiego dell’Intelligence Aziendale. Quest’ultima dovrà operare, per la tutela e lo sviluppo della competitività aziendale, nell’ambito delle direttrici strategiche indicate e nella cornice di sicurezza delineata per il comune interesse nazionale.
Intelligence Economica e Intelligence Aziendale
In sintesi, l’Intelligence Economica opera per la competitività del “Sistema-Paese” – cosi come l’Intelligence Aziendale opera per la competitività dell’azienda – attraverso lo sviluppo di capacità strategiche, individuali e collettive, concertate per ridurre i rischi e aumentare le opportunità sui mercati nazionali e internazionali, ma anche per arginare il “processo” di ingerenza, di influenza e di penetrazione esterne. Il “Sistema-Paese” è competitivo se le sue aziende sono tutelate, per cui fra pubblico e privato deve esserci condivisione di linguaggio, di conoscenze, di competenze e, in generale, osmosi di informazioni. La principale attenzione del sistema va rivolta verso assicurazioni, banche, corporazioni, aziende, multinazionali, organizzazioni non governative, fondi sovrani e Stati. Tutti combattono un conflitto asimmetrico mediante movimenti di capitale, influenza dei mercati, strategie speculative, spionaggio politico, strategico e industriale, strumenti che possono provocare destabilizzazione e crolli sia nei mercati finanziari sia nei settori economico-produttivi dell’economia reale.
La Infowar
Analoga e più incisiva attenzione andrà rivolta al settore ITC, ove si sta combattendo la Infowar facendo ricorso soft power che, con l’impiego di software commerciali ad elevatissima specializzazione e sofisticazione, tende a penetrare, influenzare e condizionare non solo le infrastrutture critiche e i fattori di potenza del “Sistema-Paese”, ma anche l’intero apparato statuale della cyber security.
La HUMINT e il “wet-wear”
Per contrastare questa nuova minaccia si ritiene necessario fare ricorso al simbiotico connubio uomo-macchina fornendo agli operatori non solo le conoscenze tecnologiche necessarie per l’impiego del computer ma anche la conoscenza della HUMINT, come impermeabile (wet-wear), che consente di conoscere le specificità – cultura, tradizioni, modi di pensare e di reagire, modus operandi, ecc. – delle innumerevoli realtà virtuali con cui si dovranno confrontare, onde decidere in maniera appropriata le opportune contro misure difensive. Inoltre, bisognerà investire nell’insourcing – escludendo categoricamente l’outsourcing – per la produzione rigidamente nazionale di software di elevatissima specializzazione e sofisticazione da impiegare nel sistema difensivo della sicurezza nazionale, con particolare attenzione alla cyber security.
La sinergia informativa del “Sistema-Paese” deve avere ricadute di conoscenze sull’intero Paese per sviluppare crescita ed espansione di tutti gli operatori socio-politico-economici
Infine, la sinergia informativa del “Sistema-Paese” non può essere autoreferenziale, ma deve avere ricadute di conoscenze sull’intero Paese per sviluppare la crescita e l’espansione di tutti gli operatori socio-politico-economici dello Stato. Per questo è fondamentale il ruolo del Governo che impiegherà opportunamente le nuove conoscenze acquisite, riversandole – attraverso le varie Istituzioni statali – nel settore formativo e culturale per accrescere il livello di conoscenze e professionale di tutta la popolazione.
by Gli Indomabili
Claudio Masci e Luciano Piacentini
Luciano Piacentini – Brevettato incursore, è stato Comandante di Unità Incursori nel grado di Tenente e Capitano. Assegnato allo Stato Maggiore dell’Esercito, ha in seguito comandato il Nono Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” e successivamente ricoperto l’incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata Paracadutisti “Folgore”. Ha prestato la sua opera negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico.
Claudio Masci – Ufficiale dei Carabinieri proveniente dall’Accademia Militare di Modena, dopo aver assunto il comando di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali. Laureato in scienze politiche. Tra i suoi contributi L’intelligence tra conflitti e mediazione, Caucci Editore, Bari 2010 e The future of intelligence, 15 aprile 20122, Longitude, rivista mensile del MAECI.
Claudio Masci e Luciano Piacentini sono gli autori di: “The future of intelligence”, articolo del 15 aprile 2012, pubblicato su Longitude, rivista mensile del MAECI, nonché dei libri: “L’intelligence tra conflitti e mediazione”, Caucci Editore, Bari 2010 (esaurito) e di “Humint… questa sconosciuta (Funzione intelligence evergreen)”, acquistabile da Amazon a questo link.