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Iraq, Al Sudani si prepara a un rimpasto di governo

Al Sudani si prepara a un rimpasto di governo in Iraq

Il premier iracheno, Mohammed Shia Al Sudani, si appresta a valutare le prestazioni del governo nei suoi primi sei mesi in carica. Il primo ministro, quando alla fine di ottobre 2022 ha assunto la leadership dell’esecutivo, ha annunciato che avrebbe analizzato il lavoro della sua amministrazione (ministri, governatori e direttori generali) dopo sei mesi dalla nascita dell’esecutivo e che avrebbe fatto dei cambi in caso di poca produttività ed efficacia. Attualmente, 12 ministeri sono assegnati agli sciiti, sei ai sunniti, quattro ai curdi e i restanti agli altri gruppi etnici e religiosi. Ciò nell’ambito del processo chiamato Muhasasa. Alcuni di questi sono già stati oggetto di critiche del premier e potrebbero essere perciò riorganizzati con nuovi vertici. Di fatto, non si esclude un vero e proprio rimpasto di governo, che potrebbe accendere la miccia di una nuova crisi nel Paese meridionale.

Il premier era entrato in carica dopo un periodo turbolento nel Paese mediorientale, caratterizzato da scontri interni tra gli sciiti

L’Iraq, infatti, fino alla nomina di Al Sudani, era rimasto oltre un anno senza un esecutivo eletto a causa delle frizioni tra il Movimento Sadrista dell’imam Moqtada al-Sadr (grande vincitore delle elezioni parlamentari) e l’ala sciita oltranzista, capeggiata da Nouri al-Maliki e vicina all’Iran: la Coordination Framework. L’impasse, dopo mesi di proteste e scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, si era sciolta solo con un passo indietro di al-Sadr (uscito dalla politica attiva per sua scelta) e di una mediazione in Parlamento, che aveva portato alla nomina di Al Sudani a ottobre 2022. L’uomo, però, è considerato vicino agli sciiti pro-Teheran e i seguaci dell’imam non hanno mai digerito l’esclusione, seppure abbiano cessato di manifestare. Inoltre, i rapporti tra Baghdad e il Kurdistan sono sempre stati di amore ed odio, mentre quelli con gli sciiti sono tesi ancora a oggi.

Le sue scelte saranno cruciali. Si rischiano il ritorno di fiamma delle proteste dei seguaci di al-Sadr e nuove frizioni con curdi, sunniti e USA

Di conseguenza, se Al Sudani deciderà sostituzioni che non rispettino il Muhasasa, è fortemente probabile che possano esserci ritorni di fiamma di proteste e manifestazioni in Iraq. In particolare a Sud, roccaforte di al-Sadr. Inoltre, selezionare soggetti troppo vicini all’Iran, determinerebbe criticità nei rapporti con gli Stati Uniti, già irrigiditi, a seguito del fatto che la scelta di riaprire la Green Zone nella capitale non è stata seguita da un adeguato rafforzamento della sicurezza e l’ambasciata USA in più occasioni è stata fatta oggetto di razzi. Anche ai sunniti farebbero comodo eventuali tumulti e agitazioni, in quanto indebolirebbero l’esecutivo sciita e agevolerebbero il parallelo rafforzamento della loro compagine. Ciò, senza contare che i jihadisti pro-ISIS, oggi sotto forte pressioni dalle ISf e da Inherent Resolve, potrebbero sfruttare l’occasione per lanciare nuovi attacchi o cercare di trarre vantaggi dalla confusione.

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