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E se l’universo fosse un Computer universale?

L’evoluzione IT potrebbe coinvolgere anche l’universo
La costante evoluzione della Information Technology (IT) in futuro potrebbe coinvolgere addirittura l’universo, trasformandolo in un gigante computer. È possibile e a che servirebbe? Se lo è chiesto Stephen Jordan, fisico teoretico del National Institute of Standards and Technology (NIST), che ha pubblicato un articolo a riguardo su Physical Review. Giulia Bonelli sul canale televisivo dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) spiega in questo video di cosa si tratta.
Alcuni ricercatori non sono d’accordo con questa ipotesi
Sull’ipotesi dell’universo come computer, però, la comunità scientifica non è concorde all’unanimità. Già nel 2012 Ken Wharton della San Jose State University in California, sostenne sulla MIT Technolocial Review che non lo è. A proposito, aveva spiegato che questa è una concezione puramente antropocentrica. “Fondamentalmente è il presupposto che il modo in cui noi umani risolviamo i problemi di fisica deve essere il modo in cui l’universo funziona realmente”. Inoltre, ci sono diversi problemi se pensiamo di immaginare il cosmo in questa nuova veste. Ad esempio, un calcolo prevede tre passaggi. Primo, il mondo fisico deve essere mappato su uno stato matematico. Successivamente, questo stato si evolve matematicamente in un nuovo stato. E infine, il nuovo stato viene mappato sul mondo fisico. E nella meccanica quantistica, questo può accadere solo se il passo finale è probabilistico. Ma per Wharton: “Neanche l’universo sa quale particolare esito si verificherà”.
La domanda rimane aperta, almeno oggi
E ancora. Quando l’universo viene misurato, si verifica un risultato specifico. L’operazione di un computer non può tener conto di ciò. Per Wharton, questo è un difetto cruciale che la maggior parte dei fisici trascura. È anche un indizio importante sul fatto che l’ipotesi dell’universo come un computer sia semplicemente tale. Anzi. Il ricercatore, inoltre, propone tutta una serie di teorie che dimostrerebbero il contrario. Di fatto, comunque, la domanda rimane aperta. Chissà se in futuro si scoprirà la risposta?
L’articolo sul MIT Tecnologica Review che esprime una posizione diametralmente opposta