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Donne, la rivoluzione per la parità di genere coinvolge anche il terrorismo

La rivoluzione delle donne per la parità di genere coinvolge anche il terrorismo di matrice jihadista. Soprattutto nell’ambito dello Stato Islamico

La rivoluzione delle donne per la parità di genere sta investendo ormai tutti i settori e purtroppo il terrorismo di matrice jihadista non fa eccezione. Queste, negli ultimi tempi, hanno acquisito un ruolo sempre più fondamentale, soprattutto nella galassia dello Stato Islamico. A livello globale vengono impiegate sempre più spesso dai comandanti IS come attentatori, grazie al fatto di essere considerate più affidabili degli uomini. Questo fenomeno è cominciato in Asia con gli attentati alle chiese cristiane a Giava del 2018 ed è culminato in Niger, come dimostrano gli attacchi suicidi degli ultimi mesi. In ogni area, però, ci sono delle differenze. Ciò a seguito di una più o meno marcata visione estremista e ortodossa dell’Islam da parte dei vertici dei gruppi in cui operano. Nessuno, comunque, ne fa a meno a parte in Afghanistan.

I ruoli e compiti assunti cambiano in base all’area geografica. In Medio Oriente sono leader, combattono, spiano e predicano

Le donne terroriste dello Stato Islamico in Medio Oriente si sono specializzate nel combattimento, nello spionaggio e nella radicalizzazione. Lo confermano le continue notizie dall’Iraq alla Siria, dove emerge una ricorrente presenza femminile nelle cellule IS neutralizzate dalle forze di sicurezza locali. Il campo di Al-Hol ad Hasaka ne è un ulteriore esempio. E’ gestito da jihadiste, più spietate dei loro compagni uomini, che si occupano di tutto. Dall’indottrinamento dei bambini fino alle punizioni per chi disubbidisce o si ribella. Non a caso, nonostante una recente e massiccia operazione delle SDF per smantellare le cellule dei miliziani al suo interno, gli omicidi continuano. L’ultimo è avvenuto solo poche ore fa e ha visto un rifugiato iracheno ucciso nella prima sezione della struttura.

In Africa le jihadiste IS si occupano della logistica e di avvantaggiare l’integrazione dei vari gruppi come ISGS, ISWAP e ISCAP con la popolazione locale. Peraltro, spesso si arruolano su base volontaria

In Africa, invece, le donne terroriste dello Stato Islamico hanno altri compiti, come riporta un’analisi dell’Institute for Security Studies (ISS). Nelle due aree a maggior presenza dei miliziani, il Sahel e l’Africa Centrale, forniscono sostegno per la sopravvivenza dei gruppi pro-IS (ISGS, ISWAP, ISCAP) e li aiutano a integrarsi nelle comunità locali. Ciò grazie al fatto che possono infiltrarsi facilmente tra la popolazione, essendo autoctone e poco “visibili”. Inoltre, gestiscono la parte non operativa dei campi di addestramento (pur spesso non frequentandoli), recuperando le risorse necessarie alla sopravvivenza e alle attività. La maggior parte di loro, peraltro, lo fa su base volontaria e non per coercizione. Sembra che alla base ci siano diverse motivazioni. Alcune si arruolano per cercare marito. Altre lo fanno per migliorare la condizione economica della propria famiglia. C’è anche chi segue le orme dei parenti. Il movente religioso è stato riscontrato in pochissimi casi.

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